Ricordo bene la mia adolescenza. Quel periodo di emozioni intense, di confusione, di sogni giganteschi e, allo stesso tempo, di insicurezze in cui sembrava che il mondo intero fosse sia una grande promessa che una minaccia incombente.
E ora, guardando mio figlio attraversare questa stessa fase, mi rivedo in lui.
Vedo la stessa voglia di esplorare, di scoprire, la stessa curiosità che brilla nei suoi occhi e quella leggera sfida contro tutto e tutti. Un’energia potente, quasi incontrollabile, che si scontra con la necessità di capire chi si è davvero.
Vorrei potergli dare mille consigli.
Vorrei raccontargli dei miei errori, dei momenti in cui ho scelto la strada sbagliata, delle volte in cui ho creduto di avere tutte le risposte e di come, invece, spesso non avevo nemmeno la domanda giusta. Vorrei dirgli di non preoccuparsi troppo, che tutto passa, che ogni problema che oggi sembra insormontabile domani sarà solo un altro pezzo di vita da cui avrà imparato. Ma so che non è così semplice.
Io, ai suoi tempi, i consigli li ascoltavo, certo. Ma poi facevo di testa mia. Volevo scoprire da solo il mondo, fare le mie esperienze, sbagliare e imparare dai miei errori. C’è una bellezza e un coraggio in questo, una bellezza che solo chi è stato adolescente può davvero comprendere. È il coraggio di buttarsi senza paracadute, di voler vivere tutto, subito, anche a rischio di farsi male. È il coraggio di essere vivi fino in fondo, senza compromessi.
Mio figlio è ora nel pieno di questa fase, e so quanto sia difficile per lui trovare il proprio equilibrio. Da un lato, c’è la voglia di essere indipendente, di allontanarsi dal nido, di mostrarsi forte e capace. Dall’altro, c’è ancora il bisogno di sentirsi protetto, di sapere che ci sarà sempre qualcuno a prenderlo quando cade. È una lotta tra due mondi, quello dell’infanzia che sta lasciando e quello dell’età adulta che sta cercando di conquistare.
So che non posso vivere la sua adolescenza per lui, né posso proteggerlo da tutto. Posso però essere presente, fargli sapere che, qualsiasi cosa accada, sarò lì. Che potrà sbagliare e io sarò comunque accanto a lui, senza giudicarlo. Che potrà sognare in grande e troverà in me un alleato, non un ostacolo. Che potrà piangere, ridere, fallire, innamorarsi, soffrire, e io sarò sempre qui, pronto a sostenerlo. Questo è il dono più grande che posso fargli: la mia presenza incondizionata.
E poi c’è la parte più difficile: lasciarlo andare.
Lasciarlo sbagliare, lasciarlo prendere quelle decisioni che so potrebbero portarlo a soffrire. Non è facile.
Ogni fibra del mio essere di padre vorrebbe proteggerlo da ogni dolore, da ogni disillusione. Ma so che non sarebbe giusto. So che ha bisogno di vivere le sue esperienze, di fare i suoi errori, di imparare, proprio come ho fatto io. Perché solo così potrà crescere, solo così potrà diventare l’uomo che è destinato a essere.
L’adolescenza è un periodo magico e terribile allo stesso tempo. È un momento di transizione, di crescita, di ricerca. È un ponte tra chi siamo stati e chi stiamo per diventare. Mio figlio sta attraversando questo ponte, e io posso solo camminare accanto a lui, senza spingere troppo, senza tirarlo indietro. Posso solo amarlo, con tutti i suoi difetti e le sue incredibili qualità, e sperare che senta questo amore anche nei momenti in cui sembra allontanarsi.
E forse è questo che alla fine conta di più: l’amore. L’amore che ci lega, anche quando ci sono incomprensioni, anche quando sembra che ci siano mondi di distanza. L’amore che è sempre lì, silenzioso, pronto a sostenere, a confortare, a guidare quando necessario. L’amore che permette a un padre di lasciare andare suo figlio, sapendo che un giorno, forse, tornerà con nuove storie da raccontare, con nuove ferite e nuove vittorie, con nuovi sogni e nuovi obiettivi.
Quindi, anche se non ascolterà tutti i miei consigli, anche se preferirà scoprire il mondo da solo, io ci sarò. Ci sarò per dargli un abbraccio quando ne avrà bisogno, per ascoltare quando vorrà parlare, per ridere con lui delle sue disavventure, per essere il porto sicuro in cui tornare. E questo, per me, è l’aspetto più bello dell’essere genitore: sapere di poter contribuire, anche solo un po’, alla crescita di un giovane uomo che sta cercando la sua strada nel mondo.