Quanto è facile distruggere?
Ciao, sono Dario Capizzi: creativo per mestiere e pensatore per natura, o forse il contrario.
Ci avete mai pensato?
Lo sforzo per distruggere è quasi pari a zero, soprattutto se paragonato all’impegno necessario per costruire. Ogni cosa che costruiamo richiede dedizione, tempo, energia e risorse, mentre la distruzione – spesso – può avvenire in un attimo, con uno sforzo minimo. Questa disparità tra costruire e distruggere è un aspetto essenziale della condizione umana, e oggi voglio riflettere su di essa, non solo per evidenziarne le differenze, ma per celebrare ciò che ci spinge a costruire, nonostante tutto.
L’essere umano ha il libero arbitrio sulla propria vita. Ognuno di noi trova motivi per viverla, obiettivi da raggiungere, ama e odia cose diverse, ma soprattutto, ognuno sceglie di costruire qualcosa, dalla più insignificante alla più imponente delle opere. Costruire è una necessità universale, una spinta che si manifesta in ogni aspetto della nostra esistenza. Anche quando non ce ne rendiamo conto, stiamo costruendo qualcosa: relazioni, sogni, ricordi, un’identità. Costruiamo la nostra vita, la nostra felicità, la nostra famiglia, la casa nella quale vivere, il nostro futuro.
Eppure, tutto ciò che si costruisce può essere distrutto. Non è sempre chi ha costruito a distruggere; spesso la distruzione viene dall’esterno. Chi distrugge lo fa per diverse ragioni: c’è chi distrugge perché non è stato capace di costruire qualcosa di proprio, chi per dimostrare qualcosa, chi per invidia, per vendetta, o semplicemente per pura cattiveria. E poi ci sono coloro che distruggono senza neanche rendersene conto. Ma il risultato è sempre lo stesso: quello che è stato costruito, spesso con fatica e dedizione, viene annullato in un istante.
Pensiamo a quanto tempo occorre per distruggere qualcosa. Se ci riflettiamo, ci vuole davvero poco. Facciamo qualche esempio, forse banale, ma molto efficace.
Prendiamo un palloncino: gonfiarlo richiede impegno. Devi acquistare il palloncino, decidere di volerlo gonfiare, riempirlo di fiato, e fare il nodo. Tutto questo richiede qualche minuto del tuo tempo, un atto semplice, ma non immediato. Per distruggerlo, invece, basta un secondo, un piccolo ago, e puff, è finita. La stessa logica vale per uno specchio: per costruirlo serve un processo complesso che coinvolge materiali specifici, processi chimici, macchinari, e un’intera catena di persone e passaggi. Eppure, per distruggerlo, è sufficiente una pietra. Un grattacielo – una costruzione maestosa che può richiedere anni di progettazione, denaro, energia, coinvolgendo centinaia di persone – può essere ridotto in macerie in pochi secondi con una bomba ben piazzata.
Di fronte alla facilità con cui è possibile distruggere, una domanda sorge spontanea: perché costruire? Perché dedicare tempo, risorse, denaro, e fatica per creare qualcosa che qualcuno potrebbe distruggere così facilmente?
La risposta, credo, è profondamente soggettiva. Se lo chiedete a diverse persone, otterrete una varietà di risposte, ciascuna influenzata dalle esperienze personali e dall’umore del momento. Alcuni potrebbero dire che costruire non vale la pena, altri che è l’unica ragione per cui vale la pena vivere. Per me, costruire è gratificante. È uno scopo, un obiettivo che ci dà direzione e senso. Costruire significa guardare avanti, significa cadere e rialzarsi, significa essere propositivi, ottimisti, significa credere che ciò che creiamo possa avere un valore, anche se solo per noi stessi.
E non parlo solo di costruire grandi opere. Anche le piccole cose contano. Costruire una routine che ci fa stare bene, coltivare un’amicizia, migliorare un aspetto di noi stessi. Ogni costruzione, per quanto piccola, è un atto di affermazione della vita contro la facilità della distruzione.
E poi c’è la riparazione.
Riparare è una scelta straordinaria, un atto di resilienza. La verità è che ci sarà sempre qualcuno pronto a distruggere, ma questo non significa che non valga la pena costruire o ricostruire. Anzi, è proprio quando ci troviamo di fronte alla distruzione che possiamo scegliere di riparare, di aggiustare ciò che è stato rotto, di trovare nuove soluzioni. La riparazione non è solo un ripristino dello stato originario, è un atto creativo, una nuova costruzione.
Da bambino, quando mi si rompeva un giocattolo, cercavo sempre di aggiustarlo. Smontavo tutto per capire come fosse stato costruito, con l’idea di imparare come ripararlo. Mi ingegnavo usando i materiali più improbabili per trovare una soluzione, cercando di essere creativo. Quando proprio non riuscivo, chiedere aiuto a mio padre era l’ultima risorsa, ma anche quella un atto di costruzione, di apprendimento. Quel giocattolo riparato diventava per me ancora più prezioso, perché portava con sé la storia del mio impegno, del mio tentativo di non arrendermi alla distruzione.
Viviamo in un’epoca in cui è diventato talmente facile buttare via qualcosa che si è rotto e comprarne uno nuovo, che la fatica di riparare sembra quasi insensata, un anacronismo. Ma io credo che riparare abbia un valore inestimabile, non solo per il risparmio di risorse, ma per il significato che porta con sé: la resistenza, la creatività, la capacità di non arrendersi. Spero che mio figlio, crescendo, possa somigliarmi almeno un po’ in questo: che possa scegliere di riparare, di resistere, di costruire anche quando è difficile.
Costruire non è facile. Richiede tempo, energie, dedizione. Richiede anche il coraggio di sapere che ciò che abbiamo costruito potrebbe essere distrutto. Ma è proprio questo che rende la costruzione tanto preziosa. Siamo costruttori per natura, e ogni piccolo atto di costruzione – una parola gentile, un gesto d’amore, un’idea messa in pratica – è una sfida al caos, una dichiarazione di resistenza contro la facilità della distruzione.
Quindi siate propositivi, siate costruttori.
Non importa quanto sia facile distruggere, ciò che conta è la volontà di costruire, di riparare, di andare avanti. Perché alla fine, la vera forza non sta nella facilità della distruzione, ma nel coraggio di creare e ricreare, di costruire ancora una volta, nonostante tutto.